QUESTIONE DI SCELTE

QUESTIONE DI SCELTE

A cura di Federica Turdo ✍🏻 

 

Da fuori è apparentemente come sempre: "sereno", dici agli altri. In realtà hai smesso di sentire la stanchezza e vai avanti per inerzia: la notte non dormi, e di giorno fai fatica a concentrarti, sei nervoso, irascibile e i tuoi amici non li vedi neanche più.

 

Seduto a quella scrivania da giorni stai lavorando a quel progetto che ormai è diventato un mostro, più grande di te. Il ticchettio delle tue dita sulla tastiera è l’unico suono familiare e le tue braccia sono il collante che ti tiene aggrappato a quello schermo che ti sta consumando gli occhi. Tutte le tue priorità sono racchiuse in quella scatoletta luminosa che credi di controllare e la tua stanza, posto sicuro e familiare, è diventato un vortice, e tu ci sei annegato dentro. Il ticchettio delle tue dita continua nervosamente e non smetti di sentire il tuo cervello andare in fiamme. Fuoco e fiamme.

Un nodo alla gola si stringe sempre di più: persino deglutire ti sembra faticoso, un vuoto che è fin troppo familiare ti pervade lo stomaco. Le tue braccia sono ferme lì, inermi, e vorrebbero sciogliere quel nodo, ma sono troppo pesanti.  Le gambe si paralizzano e un brivido ti corre lungo la schiena; un rumore assordante ti tortura la testa.

 

I tuoi pensieri sono completamente annebbiati, una matassa. Sbatti il pugno sulla scrivania, scaraventi indietro la sedia, scatti in piedi e lanci un urlo. Non senti niente, solo un'insicurezza che diventa più logorante. Ripeti: "non ce la farai" rassegnato.

 

Cammini nervosamente per la stanza e il disordine della tua testa lo vedi chiaro intorno a te: il letto è disfatto, a fianco la sedia è diventata una discarica di vestiti, e sulla scrivania le tazzine di caffè incrostate sono lì da giorni. Intanto infili la giacca, ti guardi intorno e In cucina con i piatti sul tavolo ti guardano immobili, un po' giudicanti. Le scarpe che stavi cercando sono sotto il divano. Le indossi e sospiri, "non adesso" pensi. Prendi le chiavi e sbatti la porta, il rumore pesante è quasi piacevole, familiare.

 

Sfrecci per le vie di quella città di cui conosci ogni angolo, nemmeno i piccoli dettagli riescono a stupirti più: anche loro sono asfissianti. Osservi la sua frenesia e il caos ti avvolge tra le sue braccia, ti senti perso.

 

Tra i locali le persone sorridono e  chiacchierano spensierate, nessuno sembra sentire il tuo disagio; osservi i volti di chi sta seduto ai tavoli e le loro risate ti rimbombano nelle orecchie. A un tratto il tuo sguardo cade sul volto di un cameriere e un brivido ti percorre la schiena: rivedi nei suoi occhi la tua espressione insoddisfatta: nessuno lo guarda, i clienti non lo ringraziano nemmeno, freneticamente sparecchia i tavoli e prende le ordinazioni, come una saetta attraversa il locale e non si ferma. Sul grembiule si legge Satqur, e non puoi fare altro che chiederti se qualcuno lì dentro l'abbia mai chiamato per nome; gli occhi stanchi e gonfi sono una certezza: lui è il primo che inizia a lavorare e l'ultimo ad andare via. Ti guarda, e gli accenni un sorriso.

 

Metti le mani in tasca e continui a camminare per i vicoli di quella città che ti ha cullato e accolto sempre, anche in momenti neri come quello. Tra le vie i ricordi di lunghe passeggiate con i tuoi amici, le chiacchiere sui gradini e i kebab delle tre di notte si fanno spazio nella tua testa insidiandosi tra le voci martellanti che piano piano diventano sussurri.

Sospiri e infili le cuffiette che poco prima erano un groviglio, come quello che stai cercando di sciogliere nella tua testa. Ti guardi intorno e un mix di rosa e celeste nel cielo cattura i tuoi occhi; senti dentro di te il nodo in pancia sciogliersi lentamente e la tua espressione corrucciata si rilassa. Inevitabilmente un senso di gratitudine pervade la tua mente e pensi che, comunque vada, il mondo potrà regalarti momenti come quello: semplici. La gabbia che avevi costruito da solo si sta sgretolando, e il solo farti emozionare da ciò che ti circonda ti dà speranza, ti rasserena: non sei una macchina.

 

Dunque ti fermi, sorridi al cameriere di un bar chiedendogli un tavolo e ordini una birra. Ti siedi e per la prima volta dopo giorni ti rilassi: la mente è distesa, tiri un sospiro di sollievo e il tuo battito è regolare. La tensione che aveva accompagnato le tue gambe rigide scivola via come acqua e le mani non tremano più.

Capisci che è essenziale concedersi una pausa e quanto sia importante dare valore al tempo e a quello che per te conta davvero. Continui a pensare che avevi bisogno di fermarti, di ricaricarti e - finalmente - realizzi che non vorresti essere altrove se non lì. "Pretendere troppo da te stesso non ti porterà da nessuna parte", ti ripeti mentre sorseggi la birra.

Senti che quelle sensazioni quasi estrane ti abbandoneranno e che dovrai sempre fare i conti con la tua insoddisfazione. Un quadro appeso dietro al bancone cattura la tua attenzione, sopra c'è scritto: "Dato che possiamo scegliere, scegliamo la serenità".

 

Sorridi, finisci la birra. Ti alzi, e prometti a te stesso di scegliere sempre la serenità, di provare a crearla. Scegliere come affrontare le cose che ti succedono dipende interamente dall'immagine che hai di te, da ciò che scegli di dire a te stesso e dal valore che ti dai.

Spesso fermarsi e ricominciare è vitale. Dunque respira, e ricomincia a vivere davvero, come tu sai fare.

 

Portici. Portici Burnout.

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