Schermo nero, una scritta in sovraimpressione anticipa la trasmissione della finale dell’Eurovision Song Contest.
(= Quando i diritti umani sono in gioco, il silenzio non è un’opzione. Pace e Giustizia per la Palestina)
RTVE, emittente televisiva spagnola, risponde così alla minaccia di EBU di multarla dopo che, in occasione della presentazione di Israele nella semifinale, aveva commentato esponendo i dati ONU delle vittime del massacro a Gaza.
Perché Israele era all’Eurovision?
Perché poi capita che qualcuno lo chieda. Sta in quello scaffale in cui mettiamo i dubbi esistenziali dell’insonnia, vicino a dove scompaiono tutte le cartine dei drum.
Nessuno di noi guarda l’Eurovision per ascoltarne la musica, s’intende, eppure tutti noi guardiamo l'Eurovision con un improvviso e loquace spirito patriottico.
L’Eurovision è un palcoscenico di contemporaneità e noi spettatori monitoriamo quanto rifletta lo specchio reale della società e quanto ne sia bizzarro cosplay.
Occhi, testate giornalistiche e opinionisti puntati alla gara che quest’anno, in onore della vittoria dello scorso, ha sede a Basilea.
La competizione è suddivisa in tre serate; due semifinali e la finalissima di ieri sera. I Paesi in gara sono 38, ma no, non serve siano in Europa né nell’Unione
Europea, perché non è una gara tra Paesi ma tra le emittenti nazionali facenti parti dell’EBU (European Broadcasting Union), la nostra è la RAI. Tra queste 38, i grandi 5 nomi che vantano la creazione della competizione (o semplicemente i primi stronzi che ci buttano i soldi), noi siamo tra quelli, chiaramente. Noi e loro accediamo di diritto alla finale assieme all’emittente del Paese ospitante.
Loro sono: Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna.
I vecchi amici d’infanzia con cui fare il girotondo tenendosi per mano, pronti a farci lo sgambetto appena il primo nomina un problema di concreta rilevanza pubblica.
Tipo:
Perché Israele era all’Eurovision?
Il secchione della classe ora alzerà il braccio.
«L’EBU è un’organizzazione apolitica!
È una competizione di musica,
non sta a loro occuparsi di etica o diritto!»
Verrà subito smentito dalla cervellona accanto che ricorderà l’esempio russo, in cui l’Eurovision aveva millantato la propria integrità, non permettendo a chi viola il diritto internazionale di avere un posto sul palco.
E allora la domanda cambia: perché Israele era all’Eurovision e la Russia no?
«Nel 2022, l’EBU ha decretato l’espulsione della Russia! E ancora oggi la Russia non partecipa, (anche se Putin vuole creare un Intervision russo...) Poi l’Eurovision è politica! Non ti ricordi di quando hanno fatto vincere l’Ucraina come premio di consolazione alla perdita del conflitto?»
In uno sfondo sempre più opaco continua la guerra, ovviamente.
Una mano timida, in fondo alla classe, si sbilancia. «Ma poi... cosa succede in Israele?»
A questo punto il silenzio.
In un paradossale utilizzo della legge di Murphy, che banalizzeremo traducendola: se qualcosa può andar male, andrà male; si può tracciare una linea diritta, per causa ed effetto, dalla guerra di oggi fino all’affare Dreyfus.
«E che c’entra Dreyfus?»
Chiedono in terza fila.
Particolarmente interessata la classe di Portici.
Nel 1894 l’ufficiale ebreo, naturalizzato francese, Alfred Dreyfus viene arrestato. E fino al 1906 per errori e cospirazioni, rimane in carcere con la falsa accusa di tradimento.
«Ah sì! Émile Zola e il suo “J’accuse”!»
Émile rubò il palcoscenico, è vero; ma c’era un’altra penna che ferì davvero più di una spada: Theodor Herzl, un avvocato ungherese e corrispondente a Parigi del quotidiano viennesse che aveva coperto l’affare Dreyfus. Herzl scrive il saggio “Der Judenstaat”, ovvero: “Lo Stato ebraico”, un trattato che riflette sul caso e sul dilagante clima antisemita.
Riferendosi a Dreyfus, Herzl scrive:
“incarna più che un errore giuridico, il desiderio della vasta maggioranza dei francesi di condannare un ebreo, e con lui tutti gli ebrei”.
Così quel principio di sionismo che aveva già assunto la forma di un’ideologia nel XIX secolo, si concretizza in un vero e proprio movimento:
Organizzazione sionista mondiale.
Quelle prime migrazioni degli ebrei dopo le ennesime persecuzioni e i pogrom(1*)russi, invece che continuare a spargersi, si indirizzano tutte verso la meta scelta dall’organizzazione: La Palestina(2*).
*1 Violente persecuzioni nella Russia zarista ai danni delle comunità ebraiche.
*2 La Palestina all’epoca era una regione del Vicino Oriente soggetta al controllo dell’Impero Ottomano, abitata per una larga maggioranza da popolazioni arabe con un meno del 10% di comunità ebraiche.
A questo punto ci stiamo avvicinando agli anni delle guerre mondiali ed è nel Novecento che il flusso migratorio ebraico in Palestina si intensifica.
Nel corso della Prima Guerra Mondiale, molti ebrei immigrati si arruolano al fianco degli inglesi contro gli ottomani. Come premio post guerra, alla Gran Bretagna viene affidato il mandato su varie regioni del Medio Oriente, tra le quali: La Palestina. Per spirito di cordialità, la Gran Bretagna ringrazia gli ebrei con la “Dichiarazione di Balfour” del 1917 in cui il Ministro degli Esteri inglese si annuncia favorevole alla costituzione di un “focolare nazionale ebraico” in Palestina e afferma che “si adopererà per il raggiungimento di questo scopo”, pur sempre sottolineando che:
“nulla deve pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina”.
Qui iniziano i primi insediamenti stabili da parte del popolo ebraico sul territorio palestinese. Le organizzazioni sindacali, i primi reparti militari, poi la costituzione di una borghesia.
E iniziano anche i primi scontri con il popolo arabo.
«Come se ne esce?»
«Con il trucco più vecchio del mondo: delegando».
Le Nazioni Unite precisano che la Dichiarazione di Balfour non fa riferimento a tutta la Palestina e rassicurano che non verrà toccata la libertà e giurisdizione degli arabi, poi sganciano la patata bollente alla Gran Bretagna. Diciamolo, se l’era pure cercata; ma ora detiene il potere decisionale sulle sorti della Palestina.
«Cosa decise?»
«Il secondo trucco più vecchio del mondo: lavandosene le mani».
Non la conosceva ancora loro, la legge di Murphy, e così tentano di ignorare il problema per il tempo sufficiente a farlo sparire (lo abbiamo collaudato per voi, non funziona).
Gli ebrei continuano a spostarsi In Palestina per sfuggire alle persecuzioni sempre più violente, nel 1936 scoppia la Grande Rivolta Araba(*3)e le milizie paramilitari ebraiche4 reagiscono con violenti bombardamenti. La discesa è sempre più inesorabile.
*3 Manifestazione nella quale gli arabi chiedono il cessare dell’immigrazione e della vendita di terre agli ebrei.
Sì, qualcuno ha tentato anche a parole.
Nel 1939 arriva una soluzione consensuale alla popolazione araba, il “Libro Bianco” britannico: costruire uno Stato bi-nazionale con responsabilità condivise tra arabi ed ebrei ma con un limite all’immigrazione e chiare norme di spartizione del territorio. Limitazioni che, però, non saranno mai rispettate.
Dopo l’Olocausto, il senso di colpa europeo è abbastanza gravoso da impedire di ignorare le necessità del popolo ebraico. La Gran Bretagna, entrata in burn out, decide di procedere alla ritirata istituzionale. Nel maggio del 1947, allo scadere del mandato, la decisione sulla sorte della situazione palestinese è rimessa in mano alle Nazioni Unite. La nascente ONU incarica quindi 11 Paesi di coalizzarsi in una commissione straordinaria per elaborare una soluzione (qui non ci siamo, state tranquilli).
Si parla sempre di loro, ma senza loro al tavolo del dibattito.
Gli 11 optano, non raggiungendo comunque l’unanimità, per una divisione tra due Stati: la Risoluzione ONU 181.
La spartizione geografica suggella un 56% del territorio palestinese alla popolazione ebraica, nonostante sia in percentuale solo un 33% contro i due terzi di quella araba a cui rimane un 34% del proprio territorio.
Questa soluzione avrebbe costretto la popolazione araba musulmana e cristiana a diventare minoranza all’interno del proprio Stato.
Mentre il 10% del territorio circondario di Gerusalemme soggetto al controllo internazionale.
La soluzione non viene mai attuata, non pacificamente, e i gruppi di sionisti più estremisti iniziano a spingere le popolazioni arabe ai confini stabiliti e oltre con scorribande violente e incendi ai danni dei loro villaggi. Tale atteggiamento adottato da alcuni gruppi paramilitari terroristici indegna
4* Gruppi estremisti che vedevano nell’espulsione araba l’unica concreta possibilità di insediamento ebraico.
5* I Paesi della UNSCOP (Comitato speciale delle Nazioni Unite per la Palestina) sono: Australia, Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, India, Iran, Paesi Bassi, Perù, Svezia, Uruguay, e la Jugoslavia.
molti rappresentanti della comunità ebraica. Nello specifico, 28 intellettuali ebrei, tra i quali Albert Einstein e Hannah Arendt, inviano un comunicato alla redazione del New York Times allontanandosi dalla direzione “fascista” e “nazista” che imputano al partito Tnuat Haherut6 e al suo leader .
Il 14 maggio 1948, lo Stato di Israele si dichiara indipendente e nemmeno 24 ore dopo viene invaso da una coalizione di stati arabi iniziando un conflitto che, ancora oggi, non si può dichiarare concluso.
Quindi perché Israele era all’Eurovision e la Russia no? Non lo sappiamo, o forse sì.
Forse non è la domanda giusta.
Forse dovremmo chiederci perché le regole dell’Eurovision quest’anno impediscano ai cantanti di portare sul palco qualsiasi bandiera, diversa da quella nazionale; unico strumento che permetteva di sventolare una parvenza di battaglia sociale. Non si può nemmeno più parlarne.
«Ma sì che si può. Il pubblico sì,
il pubblico quest’anno può appoggiare le cause che vuole e sventolare qualsiasi bandiera!»
«Certo e noi siamo sicuri che la scaletta svizzera dell’Eurovision e la professionalità del nostro servizio pubblico, si assicureranno di inquadrare ognuna di queste timide manifestazioni!»
Il Codice di Condotta dell’Eurovision, che ogni partecipante deve obbligatoriamente sottoscrivere, quest’anno vieta ai cantanti qualsiasi uso politico del contest nel rispetto delle leggi definite da EBU.
Forse allora potremmo chiederci se davvero crediamo che solo perché ad alcuni viene impedito di parlare, significa che tutti tacciano. I cantanti non possono lanciare messaggi politici, questo impedisce all’Eurovision di essere un’arena politica?
La concorrente di Israele, Yuval Raphael è una delle sopravvissute all’attentato terroristico protratto da Hamas il 7 ottobre al Festival Musicale Supernova. Dettaglio che nessuno manca di sottolineare alla presentazione della cantante. Sarà lei un modo per prendere posizione?
6* Partito di estrema destra del Parlamento israeliano e successore politico dell’Irgun, gruppo paramilitare terroristico con ideologia revisionista.
Sarà che dovremmo cantare e basta? D’altronde è di musica che si parla!
Ma noi crediamo siano importanti, come in ogni buon pezzo musicale, (cosa che difficilmente ascolteremo all’Eurovision) le sfumature.
Coglierle, riconoscerle, per non rischiare di dimenticare il contorno e perdersi nella musica, e finire per muoversi al ritmo che ha dettato qualcun altro. Perché poi è facile, con un manuale di storia evidenziato, guardarsi indietro e chiedersi: ma come hanno fatto a non rendersene conto?
Forse così.
«Quindi perché Israele era all’Eurovision e la Russia no?»
Forse perché è soltanto televisione, e così dovrebbe essere.
Forse, in mezzo ai forse, una certezza: fino a quando si discuterà di diritto internazionale sul palco di un festival, nessuna guerra cesserà.
«E se fosse proprio questo il punto?»
«Farci credere che l’unica rivoluzione che abbiamo il potere di iniziare è far perdere a Israele un festival di musica?»
«Convincerci che espellere la Russia dall’Eurovision abbia determinato un cambiamento?»
Non abbiamo tutte le risposte ma, a volte, basta non smettere di farsi le giuste domande.
«O forse sarà che, in fondo, non abbiamo voglia di fare la cosa giusta?»
«Ma alla fine è solo musica...»
E se il resto dello show vi sembra una merda, aspettate di vedere il film che vi consigliamo: Eurovision Song Contest - La storia dei Fire Saga.
Congratulazioni all’Austria e buona settimana.
P.s. La voce di Portici questa settimana è sintonizzata su:
Cosa faremo da grandi? di Lucio Corsi
I Porticinai
FONTI
Cammarano F., Piretti M.S., Guazzaloca G., Storia Contemporanea. Dal XIX al XXI secolo, capitolo 10 “Nuove egemonie e potenze emergenti”, Mondadori, Milano 2015
Center for Isreal Education, 2012 Ital finale 1947.11.29 Resolution 181 (2)
Ital finale 1896.2 The Jewish Question (data ultima consultazione: 15/05/2025)
PER APPROFONDIRE
Balducci G., Bordone M., Misculin L., Vizio S., Un podcast sull’Eurovision, Un
podcast sull'Eurovision - Il Post, Il Post, Milano 2025
Rewind - Fatti di Storia, Come Israele si è preso la Palestina in meno di un secolo, https://open.spotify.com/episode/5CRBinlqkPiuxzYKz8aEmp?si=bTa98SwWRU