E a te, che cosa fa paura?

È sabato sera quando faccio la domanda al mio fedele compagno di notti insonni.

 

“Secondo te perché ci fanno paura i film horror?”

 

La nostra conversazione possiede ancora la casualità dell’amicizia e la stravaganza dell’estro, quindi non si sorprende:

 

“Per il fatto che non hai la certezza massima che non esistano, è come Dio al contrario”

 

Sorprende me.

 

Dopo aver passato in rassegna la mia immaginazione che ritrae iconografie religiose a rovescio, rifletto. Io non sono credente, non in Dio almeno, eppure non mi definisco più atea da quando un mio maestro un giorno mi aveva detto che Nietzsche si sarebbe arrabbiato con me a sentire quell’insulsa definizione: “perché è il concetto di ateismo è basato sul concetto di teismo e per Nietzsche era una forma di pigrizia questa di mettere una A davanti alla categoria che si nega” e mi piacque talmente tanto quel che disse che non verificai mai.

 

Ma questo sì, questo l’ho verificato.

 

“Sai che cos’è l’amigdala?”

 

Chiedo, ora è mercoledì e forse persino il mio amico comincia a spaventarsi.

 

“Sì, ma non me lo ricordo”

 

L’amigdala, la mandorla del cervello, è un agglomerato di tessuto nervoso.

La paura segue due diversi percorsi per arrivare all'amigdala.

In entrambi i casi gli impulsi percepiti dagli organi sensoriali passano al talamo, qui il segnale incontra un bivio:

la strada più breve: in 20 millisecondi corre impazzito verso l’amigdala urlando “al fuoco!”, deve avvertire il cervello, è il momento di avere paura e azionare l’istinto di sopravvivenza.

Subito dopo la strada più lunga, con un respiro lungo 100 millisecondi, raggiunge la corteccia celebrale, deposita la valigetta, la apre con fare vistoso e mette le carte in tavola:

cara razionalità, questa è la situazione concreta: impostiamo un piano d’azione.

 

I registi, in questo, sono dei professionalissimi bastardi.

L’inquadratura è volta a stimolare il cavallo impazzito che in quei 20 millisecondi deve bruciare ogni tappa del buon senso e avvertire del pericolo imminente, prima di poterlo analizzare.

 

“In un certo senso” correggo il mio amico, di giovedì “ci spaventiamo non perchè ci manchi la certezza che tutto quello non esista ma perché dimentichiamo di sapere che tutto questo non esiste!”

 

Per un attimo soltanto, percorrendo la via più breve, ci inganniamo. Ripetutamente, scena dopo scena, per 90 minuti, soffriamo un dolore che non esiste, e poi ci ricordiamo che non è mai esistito.

L’immedesimazione incrementata dalle tecniche cinematografiche fa il resto. Empatizziamo talmente tanto da persuaderci che il dolore ci appartenga e lo subiamo, prima di restituirlo.

 

In un mondo in cui tutto fa ormai paura, è quasi rassicurante vedere un film horror.

Come se l’incertezza rendesse la certezza meno brutale.

Ma forse delle cose concrete, non abbiamo più paura come un tempo:

non abbiamo paura come chi si allena

e guarda tutti i film horror.

Come mia madre

che leggeva tutti i libri di Stephen King

ridendo.

Come il mio amico

che non riesco più a spaventare

con i miei messaggi a tarda notte.

Come chi scrolla Instagram

in un giorno qualsiasi

e non riesce più a sorprendersi

delle bombe,

della morte.

 

Come te.

 

Ma io, che non voglio abbandonare questo mondo, tengo stretta la pagina di un libro.

Non è la pagina migliore e forse, in fondo, non contiene nulla di speciale.

Eppure, quando tutto va in fiamme, io torno con il ricordo al chirurgo Edward Haggard che, agli albori della seconda guerra mondiale, annota sul suo diario che sì, probabilmente sarebbero entrati in guerra e, altrettanto probabilmente, l’avrebbero persa ma Haggard vagava cercando per sé e per lei, uno spazio dove amarsi di nascosto. In un mondo frammentato che prendeva parti e gridava disseminando ovunque paura in 100 millesimi di secondo alla volta, Haggard aveva un solo, unico timore, ed era tutto per lei:

 

“Se fosse scoppiata la guerra - cosa probabile - e noi l’avessimo persa - cosa altrettanto probabile - che posto ci sarebbe stato in quel nuovo mondo per l’amore?”

 

 

Film: “Brazil” - Terry Gilliam

Libro: “Il morbo di Haggard” - Patrick McGrath

 

 

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